... chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola.
Giovanni Falcone

lunedì 30 novembre 2009

Berlusconi visto da Sergio Luzzatto

Pubblico una intervista apparsa su l'Unità on-line di oggi perchè mi sembra particolarmente lucida ed esplicativa della condizione politica attuale, leggetela poi , magari, ne parliamo:

Penso sia un limite ridurre la lotta politica a una persona sola...». Sergio Luzzatto, che insegna Storia moderna all’università di Torino e vive in Francia, ripercorre con noi l’ascesa di Silvio Berlusconi negli anni Novanta. Osserva questa Italia di oggi «divisa in tre» dove la parte più grande sembra non interessarsi allo scontro politico e ai conflitti che segnano la vicenda politica. «Dobbiamosaperlo che è così», spiega. Sulla sinistra italiana e sui suoi errori presenti e passati Luzzatto non ha dubbi: «È ancora prigioniera del passato».

Allora, professore, cerchiamo intanto di fare una foto all’Italia di oggi: è d’accordo nel dire che è un paese cinico?
«L’Italia non è una sola, io ne vedo tre. Una è quella che lei definisce cinica e che è sicuramente maggioritaria. Poi ce ne sono altre due agli estremi: quella indignata, che si ribella alle imprese della destra, e dalla parte opposta quella arrogante, che ci viene buttata addosso da Berlusconi. Però, attenzione, perché a un’analisi approfondita le cose risultano più complicate. La diagnosi di cinismo corrisponde solo a una parte della prima Italia: dentro quella grande "zona grigia" ci sono anche quelli che mandano avanti il Paese, e che sono poco interessati al continuo pugilato tra indignati e arroganti. Gli opposti militantismi sono ormai inadeguati, sono speculari e autoreferenziali ».

Per caso è una critica al cosiddetto antiberlusconismo?
«Io credo che sia un limite ridurre la lotta politica a uno. Sia chiaro, apprezzo il contenuto civile della battaglia contro quella che definirei una forma di fascismo: non un"fascismo-regime"ma un"fascismo-movimento", per dirla con Renzo De Felice. Ma è uno solo dei compiti. Fuori c’è un paese che vive problemi diversi. Quando tutto questo finirà quel che conterà sarà il Pil, la busta paga, l’università che non funziona. Cioè i problemi veri».

Senta, per capire dove siamo oggi vediamo come il “fenomeno Berlusconi” si è imposto: che cosa è accaduto negli anni novanta che ha favorito la sua ascesa?
«Ricordiamo la congiuntura politica di quegli anni: la crisi della partitocrazia, la fine dell’arco costituzionale, il crollo del comunismo. Il berlusconismo è stato un fenomeno di lunga durata perché Berlusconi ha avuto un’intuizione: ha capito che la stagione dei partiti di massa si stava chiudendo e ha operato una rottura grazie al suo partito azienda. Ma nel berlusconismo c’era anche un elemento di continuità, il ritorno alla centralità del personaggio carismatico che si era in qualche modo eclissato. Lui incarna questo ruolo: è l’unto del signore, interpreta un destino collettivo. Come fece Mussolini, anche Berlusconi si pone come antidoto di una classe dirigente grigia che nascondeva se stessa. Capisce che la politica moderna la fanno i “corpi speciali”».

Secondo lei usando il suo carisma Berlusconi ha cambiato gli italiani o li ha semplicemente interpretati?
«Sicuramente Berlusconi ha interpretato un carattere nazionale mai venuto meno, quello del qualunquismo. Però poi c’è stato il forte ruolo del personaggio. Lui ha avuto il talento di fondare un rapporto privilegiato con i famosi "ceti medi", intesi in un senso largo e aggiornato».

Ha avuto anche un grande sostegno: le tv e l’impero mediatico che si è costruito con gli appoggi della politica. Quanto hanno pesato?
«Tantissimo. Sappiamo che le persone scelgono e votano guardando le tv».

Quindi in quegli anni l’ascesa di Berlusconi era proprio irresistibile?
«Era irresistibile perché rispondeva a uno spirito del tempo che chiedeva personalità carismatiche, e perché rappresentava gli interessi dei ceti medi che avevano perso la Dc e avevano bisogno di altri referenti. Ma era resistibile sul terreno tecnico- politico. Quella “gioiosa macchina da guerra” si poteva forse fermare, soltanto si fosse approvata una legge sul conflitto di interessi. Non farlo è stato un errore enorme del centrosinistra, che si fa fatica a spiegare all’estero».

Ora però qualcuno dice che questo modello berlusconiano è in crisi e sta tramontando. Lei è d’accordo?
«Non lo so, sono uno storico e frequento il passato, non il futuro. Sento però degli scricchiolii. Non tanto nel consenso della base, che non pare scalfito, ma in alto. I poteri forti, o se vuole le elite, vedono oggi che di liberista si è fatto poco e che Berlusconi non soddisfa più le loro domande, quindi cercano soluzioni alternative».

Lei recentemente ha avuto apprezzamenti per il ruolo che sta svolgendo Gianfranco Fini. Conferma?
«Sì, lui tenta di incarnare l’anima istituzionale della destra che i pasdaran di Berlusconi osteggiano. Penso che Fini sia una grande risorsa per la politica italiana. L’auspicio è che riesca a smarcarsi e favorisca nuove configurazioni».

Ma perché l’Italia non ha mai avuto una destra normale, come quella francese per fare un esempio?
«Perché l’Italia, come la Germania, ha conosciuto il fascismo e quindi, dopo, ha escluso la destra e l’ha consegnata allo schieramento di centro, cioè alla Dc. Ricordiamo che quando Berlusconi decide di entrare in politica lo fa "sdoganando" Fini, dunque l’estrema destra di allora. Ma in Italia la parola "destra" è ancora oggi impronunciabile. I francesi si dicono facilmente “de droite”, da noi nessuno ha il coraggio di dirsi di destra... »

E la sinistra? Negli anni dell’ascesa di Berlusconi poteva imporre un’altra idea dell’Italia e nonl’ha fatto o non c’è riuscita. Per quali motivi?
«Perché ha pesato il passato. Sono gli anni dello psicodramma del Pci che cambiava nome... Il Pci aveva mantenuto per troppo tempo una forma mentis sovietica, lo stesso Berlinguer, che aveva passato la vita a smarcarsi dall’Urss, era rimasto comunista fino alla fine. Penso che la sinistra il cambiamento lo ha fatto troppo tardi, quasi fuori tempo. Berlusconi diventava irresistibile anche perché l’avversario era ancora impegnato a fare i conti con il proprio passato».

È passato più di un quindicennio. Perché ancora oggi la sinistra non riesce a costruire un’alternativa credibile?
«Perché è sempre prigioniera del suo passato. Il Pd sembra l’ultima vendetta di Togliatti. L’idea che questo paese possa progredire solo se l’anima laica e quella cattolica abitano nella stessa casa è vecchia, vecchissima. Di fatto c’è tutta una parte d’Italia che sta ben più avanti della classe dirigente della sinistra. Il vertice è terrorizzato all’idea di perdere pezzi, concede sempre qualcosa all’avversario per timore di non apparire legittimato. Ma l’obiettivo di un gruppo dirigente dovrebbe consistere nell’essere riconosciuto da una base, non nel puntare a una legittimazione al ribasso per far piacere a chissà chi. Bisogna smetterla di ragionare come negli anni cinquanta, da allora è cambiato tutto: il mondo, la Chiesa, l’Italia. Guardiamo all’esempio spagnolo: dimostra che si può avere un partito di sinistra al governo che interpreta con coraggio le ragioni di una parte».

Insomma par di capire che lei qui in Italia vede solo buio...
«Ma no, credo che sui valori si possa creare invece un consenso morale e civile nuovo nel nostro Paese. Su temi come l’immigrazione, la bioetica, i diritti del lavoro, penso che la sinistra più coraggiosa potrebbe incontrarsi con una destra seria come quella di Fini».

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