Riportiamo una preziosa analisi dello Psichiatra Prof.GIOVANNI BOLLEA pubblicata da "Il Messaggero" del 27 febbraio 09
UNA tesi sempre valida: se la stampa ha creato una cultura dell’infanzia, la televisione la sta annullando. Lo spettacolo televisivo e più ancora l’informazione sono visti ogni giorno sia dall’adulto che dal bambino: esperienza comune che riduce la distanza tra le generazioni. Mentre l’adulto è attratto dalla puerilità e dal suo mondo, il bambino perde la propria identità. L’Occidente con la sua civiltà aveva scoperto l’infanzia psicologica e culturale con un suo ideale pedagogico.
Un ideale pedagogico che oggi appare però sempre più confuso. E ci si chiede: davvero noi siamo ancora capaci di educare? Nella società della comunicazione televisiva e informatica, quello che si è prodotto di nuovo non è soltanto il mostrare fatti quotidiani violenti e devastanti, ma la riflessione su quei fatti e soprattutto, l’esibizione del dolore che essi producono; un dolore omologato e ripetitivo sia nelle espressioni del linguaggio sia nelle inquadrature, che tolgono al futuro uomo, che vive nel mezzo della vita, quell’infanzia che in lui non deve ancora scomparire.L’autocontrollo, la gratificazione differita, la difficoltà a pensare in modo concettuale e consequenziale, la stima della giusta ragione e della gerarchia da accettare non esistono quasi più. La tv e Internet azzerano l’importanza del leggere e dello scrivere, creano nuovi valori negli atteggiamenti e nei tratti del carattere, valori ai quali non si pongono alternative o critiche. L’aggressività che non sia mediata, spiegata e analizzata da genitori consapevoli, i bambini-adulti l’apprendono senza avere le capacità analitiche per valutarla. Aggressività che rimarrà come una spinta alla violenza: ma una spinta che non saprà impegnare le necessarie facoltà logiche e di verifica.Al ragazzo impreparato ad esercitare un giudizio razionale e maturo non vengono presentati dei fatti ma degli idoli onorati sia dagli adulti che dai bambini, i quali imparano velocemente ad adeguarvisi. A loro non vengono proposte dottrine sufficienti né teologie valide a far capire le radici del male, le quali fioriscono sui rami del più forte che schiaccerà il più debole. Perché questo è il bullismo, che se oggi si pratica sul disabile non può meravigliare nessuno. Quello che il piccolo bullo ha imparato dalla tv e da Internet è dovuto all’effetto di un mezzo che alla violenza richiede sempre risposte immediate, emotive e prive di riflessione. Le cifre che riguardano alcolismo, droga, sesso prematuro e delinquenza ci dimostrano che la separazione tra infanzia ed età adulta sta purtroppo scomparendo. I genitori riflettano su quanto da anni stiamo dicendo su televisione e Internet, e riflettano ancora su quanto sarebbe più utile ed educativo che i loro figli per esempio trascorrano qualche ora in compagnia di quei ragazzi disabili, dai quali potrebbero imparare tante cose “buone e belle” (per usare termini deamicisiani) anche se in loro vedranno atteggiamenti, bisogni e gesti anormali. Diversamente, genitori ed educatori sarebbero individui che getterebbero nei propri ragazzi un seme per la distruzione di un’infanzia felice e di un’adolescenza consapevole, privandoli del posto che spetta loro nella vita: quello di vivere e stare dove la loro perduta innocenza si trasformerebbe in un’adeguata maturità. Maturità di far emergere gusto e stili di vita comuni a bambini e adulti, altrimenti incapaci di raggiungere prospettive di natura giuridica, educativa e affettiva.L’erosione di una educazione alla generosità e alla bontà indica la perdita del senso dell’educazione stessa.E se in California si pensa che i minori colpevoli di crimini gravi siano processati, a discrezione del Tribunale, come gli adulti, perché noi non dovremmo almeno preoccuparci sistematicamente di riflettere su quanto accade ai nostri ragazzi e soprattutto ai loro genitori? Chi saranno in futuro i “salvatori dell’infanzia” se i genitori non ne saranno più capaci?
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